Alpino del 1° Reggimento II Battaglione Estate 1915. Riprodotto il Cappello Alpino ed il fregio grigio verde portato dal 1911 al 192 anno in cui venne adottato quello ancora in uso.
Relazione sull' Incontro dedicato alla Prima Guerra Mondiale
Istituto Rosselli - Aprilia
Associazione "Un Ricordo per la pace"
“Interventismo”
di
LUIGI MARSIBILIO
Situazione
sociale europea allo scoppio delle guerra.
La
Grande Guerra scoppia in un momento di immensa confusione per l’Europa. Il
progresso, la velocità, le grandi rivoluzioni dettate dalla tecnica
sconvolgevano la vita, i ritmi, le esistenze individuali. In pochi decenni si
erano imposti le macchine, il treno al posto del cavallo, il telegrafo,
l’illuminazione elettrica. Con la visione del mondo di oggi si può affermare
che la Prima Globalizzazione fu molto più stravolgente della Seconda
Globalizzazione che stiamo vivendo ai nostri giorni. Infatti, secondo quanto
recentemente affermato dalla storica britannica Margaret MacMillan: “la
Globalizzazione non è affatto solo una caratteristica della nostra epoca.
Quella precedente la Prima guerra mondiale fu anche più intensa e diffusa”. E
fu proprio a seguito di questo rapido progresso che il primo conflitto mondiale
iniziò con le logiche, le strategie, la forma mentis dei comandi e dei soldati
da pieno Ottocento, ma rapidamente divenne un conflitto a pieno titolo parte
del secondo Novecento. Si cominciò con le cavallerie e gli assalti alla
baionetta come a Waterloo e Solferino e si terminò con i sommergibili, il
coordinamento tra unità corazzate, aviazione e fanteria. E proprio l’aviazione
vide la comparsa di una grande novità: l’impiego di un dirigibile Zeppelin per
il primo bombardamento aereo della storia sul suolo europeo, compiuto dai
tedeschi per colpire la città di Liegi durante la loro invasione del Belgio
nell’agosto 1914. La prima guerra mondiale fu caratterizzato da un altro
fondamentale elemento: le errate previsioni da parte dei responsabili politici
e militari che erano indirizzate verso un tipo di conflitto esattamente
contrario di quello che si è poi verificato. Infatti, rifacendosi alle
esperienze del passato (guerre napoleoniche e risorgimentali) esso veniva
ipotizzato come guerra essenzialmente di manovra e di movimento, fondato
sull’offensiva ad oltranza. A tale concezione si contrappose, nel 1914,
l’inopinato trinomio reticolato – mitragliatrice
– trincea che incanalò inesorabilmente il conflitto verso una gigantesca
battaglia di posizione e di logoramento statico. Iniziato più con le
connotazioni delle guerre del secolo precedente, si concluse in un clima in cui
le ideologie cominciavano a condizionare le masse e ad influenzare gli
avvenimenti internazionali. In sostanza, non più come conflitto d’interesse ma
piuttosto come conflitto di ideologie. Ed è alla luce di quest’ultimo concetto
che si vengono a formare nella classe politica del nostro Paese due
schieramenti opposti: quello neutralista
e quello interventista.
Allo scoppio del conflitto l'Italia
era legata alla Germania e all'Austria-Ungheria dalla Triplice Alleanza: un patto militare difensivo
stipulato nel 1882 e via via rinnovato, che si contrapponeva al sistema di
alleanze anglo-franco-russo della Triplice Intesa. Nonostante i legami
diplomatici, molte rimanevano le differenze tra l'Italia e gli imperi centrali:
mentre questi ultimi erano nazioni militarmente e politicamente influenti,
avanzate dal punto di vista economico, l'Italia era uno stato sostanzialmente
non ancora unificato, in gran parte povero e arretrato, che faticava a trovare
l'anelato riconoscimento tra le principali potenze europee. Nei confronti
dell'Austria-Ungheria vi era poi un contenzioso latente, relativo all'irredentismo di molti settori dell'opinione
pubblica e anche di parte del Parlamento: espressioni che, spinte da un numero
sempre maggiore di patrioti e interventisti, il governo faticava a controllare.
Fu così che, quando l'Austria e la Germania dichiararono guerra alla Serbia innescando la prima guerra mondiale,
l'Italia rimase al di fuori del conflitto basandosi sulla natura difensiva
della Triplice Alleanza che non impegnava gli stati membri nel caso di una
iniziativa aggressiva. Nei successivi mesi della neutralità italiana, stante il
sostanziale equilibrio delle forze schierate in campo, divenne chiaro che
l'Italia poteva giocare un ruolo importante se non decisivo sull'esito del
conflitto e perciò il governo intavolò una serie di trattative con i partner
della Triplice Alleanza, nonché segretamente con i membri dell'Intesa, per
stabilire i compensi per l'intervento italiano nella guerra o per il mantenimento
del suo stato di non belligeranza. Fu subito chiaro che l'Intesa poteva
promettere all'Italia ben più di quello che volevano offrire gli Imperi
Centrali, dato che gli incrementi territoriali ai quali l'Italia era
interessata riguardavano soprattutto l'Austria-Ungheria, e che questo impero
era restio a fare concessioni a proprie spese. In Italia erano inoltre forti i sentimenti irredentisti nei confronti dei territori del Trentino, di
Trieste con
l'Istria e
di Zara con
la Dalmazia,
ancora sotto il controllo asburgico. A
questi si aggiungevano diffusi sentimenti di simpatia per la Triplice intesa ed un patto segreto con la Francia, che
di fatto invalidava gli accordi con gli Imperi centrali. I neutralisti, nel cui contesto erano forti le spinte contro l'entrata in guerra. Gran parte del governo, a partire da Giovanni Giolitti, ex presidente del Consiglio dei ministri, si era schierata sul fronte
neutralista. Sulle linee giolittiane si erano posti in un primo tempo i socialisti (in nome
dell’internazionalismo proletario);
i cattolici, sotto l’influenza della posizione pacifista assunta dalla Santa
Sede ed i liberali. Tra gli altri l'allora direttore dell'Avanti Benito Mussolini.
Gli interventisti,
che rappresentava la posizione assunta da alcune correnti
politiche e di pensiero favorevoli all'intervento nella guerra, il
cui fronte era più ristretto ma aveva una linea di comunicazione più decisa,
basata sul diffuso sentimento anti-austriaco e sull'idea che l'egemonia della Germania in Europa avrebbe frustrato le aspirazioni
nazionali italiane. Ne facevano parte forze politiche di natura profondamente
diversa: oltre ai nazionalisti,
vi era una componente neo-risorgimentale e
irredentista che aveva un riferimento in Cesare
Battisti e vedeva la Grande
Guerra come una quarta guerra di indipendenza, necessario
punto di arrivo delle lotte di riscatto nazionale, e una componente più
democratica, che invece pensava alla guerra come un'opportunità per consolidare
l'unità nazionale. A questo schieramento composito si aggiunse in un secondo
tempo il fronte degli interventisti democratici. Tra gli altri interventisti vi
era anche Gabriele D'Annunzio, poeta appartenente alla corrente letteraria del
Decadentismo.
Nel 1915 il fronte interventista aveva assunto
posizioni molto meno marginali nel Paese: i vertici del governo, convinti
allora che l'intervento militare avrebbe potuto riportare l'Italia allo slancio patriottico e all'unità nazionale, ma soprattutto
che si sarebbero allentate così le tensioni sociali che avevano avuto uno sfogo
nella settimana
rossa, valutarono con consistenza la possibilità di schierarsi con
l'Intesa. Dopo avere trattato sia con gli alleati della Triplice che
con l'Intesa, il 26 aprile 1915 il governo Salandra si decise a
firmare il Patto di Londra, che in cambio di un'entrata in
guerra entro un mese accordava all'Italia in caso di vittoria il Trentino, il Tirolo fino al Brennero (Alto Adige), la Venezia
Giulia, l'intera penisola istriana,
con l'esclusione di Fiume,
una parte della Dalmazia,
numerose isole dell'Adriatico, l'arcipelago del Dodecaneso,
la base di Valona in Albania e il bacino carbonifero di Adalia inTurchia. L'opposizione
insorse, chiedendo le dimissioni del governo Salandra, ma fu di fatto
sconfessata dalla casa
regnante che affidò nuovamente l'incarico di governo allo stesso Salandra,
approvando così il Patto di Londra e l'intervento militare. Al termine della guerra, essendo l'Italia risultata vittoriosa
nel conflitto, alla conferenza
di pace di Parigi richiese
che venisse applicato alla lettera il patto di Londra, aumentando le richieste
con la concessione anche della città di Fiume a motivo della prevalenza
numerica dell'etnia italiana nel capoluogo quarnerino. Così non fu a causa del
parere contrario del presidente Wilson, che non avendo sottoscritto il patto non si considerava ad esso
obbligato. La Francia inoltre non vedeva di buon occhio una Dalmazia italiana
poiché avrebbe consentito all'Italia di controllare i traffici provenienti dal Danubio. Il
risultato fu che le potenze dell'Intesa alleate dell'Italia opposero un rifiuto
e ritrattarono parte di quanto promesso nel 1915. L'Italia dal canto suo fu
divisa sul da farsi, e Vittorio
Emanuele Orlando abbandonò
per protesta la conferenza di pace di Parigi. Le potenze vincitrici furono così
libere di proseguire la conferenza di pace senza la presenza italiana. Il nuovo
presidente del consiglio italiano Francesco
Saverio Nitti ribadì
nuovamente le richieste italiane, ma nel contempo iniziò delle trattative
dirette col nuovo Regno
dei Serbi, Croati e Sloveni, che
sfociarono nel Trattato di
Rapallo del 12 novembre 1920:
della parte della Dalmazia promessa col patto di Londra, all'Italia andarono la
città di Zara, l'isola di Làgosta e l'arcipelago di Pelagosa (più
vicino alla penisola italiana che alla costa dalmata). Il resto della regione
fu assegnata al Regno
dei Serbi, Croati e Sloveni.
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Questo Blog, già figurinostorico.blogspot.com, che sosteneva che "la storia si può raccontare in tanti modi. Noi abbiamo inventato un nuovo modo di raccontarla:con il figurino storico. Firmato: la Tavola Rotonda Osimo." Si aprirà da parte della Galleria del Figurino Storico un sito. Questo blog continua a svolgere la sua funzione: di descrivere il Costume Militare attraverso i secoli,ovvero l'Uniformologia, scienza ausiliaria della Storia (contatti:centrostudicesvam@istitutonastroazzurro.org)
Obiettivo della Civica Galleria: La Scuola
Il Blog ha assunto nel tempo due funzioni. La prima è quella di essere espressione del Figurino Storico.
In un mondo globalizzato, lo studio della storia è sempre più indipendente pr capire le origini delle civiltà e questo è il nostro obiettivo primario Con la denominazione "Civica Galleria del Figurino Storico" si vuole appunto sottolineare la creazione di un vero centro museale, l'unico nelle marche, sulla base di un progetto condiviso tra l'Assessorato alla Cultura del Museo di Osimo, la Società Parko spa che gestisce il trasporto pubblico locale e l'associazione Tavola Rotonda, impostato sullo stile dei grandi musei come lo Stibbert di Firenze e quello di Calenzano dove il figurino storico viene utilizzato come strumento didattico e invito allo studio della storia.
Gli obiettivi della Civica Raccolta osimana sono i medesimi, ma una attenzione particolare è rivolta alle scuole, sopratutto elementari e medie, dove lo studio dei questa materia da parte dei bambini avviene spesso in modo mnemonico; ebbene l'utilizzo del figurino storico vuole essere uno strumento didattico integrativo del libro di scuola ed il nostro locale diventare una sorta di aula didattica dove i bambini si possono appassionare a questa disciplina
La Seconda è quella di divenire lo spazio esterno del CESVAM - Centro Studi sul valore Militare dell'Istituto del Nastro Azzurro come spazio per approfondire, oltre che i temi della Uniformologia, anche quelli concernenti le scienze ausiliari della Storia, quali, oltre la Uniformologia, anche la Vessillologia, ovvero lo studio delle Bandiere, l'Araldica, i Mezzi e gli equipaggiamenti, ed il Collezionismo militare in genere ( cartoline, ecc.)
lunedì 27 ottobre 2014
1914: Interventismo. Di Luigi Marsibilio
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